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DANIELE TITTARELLI GARBATELLA

DANIELE TITTARELLI

Uno spirito libero dai molti risvolti

Raramente questo spazio, calibrato su figure di stretta contemporaneità ma provviste di esperienze significative nella discografia ufficiale, è dedicato a giovani promesse notate nelle loro apparizioni in progetti altrui. Tittarelli – dalla sua un paio di buoni dischi da leader, passati tuttavia un po’ in sordina – è un musicista originale: artista (e persona) assai sensibile, rappresenta una certezza che ha solo bisogno di essere coltivata nel giusto modo. Memorabili, più dei dischi, le sue collaborazioni con musicisti più o meno quotati, qualche assolo che dipana una pronuncia personale, non derivativa.
Sax contralto, ben consapevole dei mezzi messi a disposizione dalla storia, non ama imitare il suono dei suoi predecessori e nelle sue influenze si potrebbero elencare soprattutto una serie di tenori: da Coltrane a Rollins e Dexter Gordon. «Mi è sempre piaciuto il contralto, ma non sono mai stato affascinato dal suo suono cristallino e puro, come quello di Art Pepper: preferisco ricercare toni più scuri, da tenore. Comunque tra gli altisti il mio preferito è Cannonball Adderley, secondo solo a Parker».
In effetti ascoltandolo dal vivo, Tittarelli si impone per il timbro strumentale, la sintassi personale ed esclusiva, quasi un’urgenza espressiva che svela desiderio di libertà e ricerca di indipendenza.
Nato a Roma trentaquattro anni fa, non è seguito da manager, agenzie e uffici stampa; è riservato e un po’ anticonformista. Il quartiere di residenza è Garbatella, uno di quei luoghi belli e popolari della Roma di una volta che, un po’ per merito della presenza di studenti, per lo più fuorisede, e di immigrati, è crocevia cosmopolita di culture ed espressioni e ha accolto personaggi underground indimenticabili: nel jazz, Danilo Terenzi; nel teatro e nell’improvvisazione tout court, Victor Cavallo. Una tipica romanità che ciclicamente rispunta anche nel percorso di Tittarelli: basti citare il suo brano Like Cafù, evidentemente dedicato al calciatore brasiliano che in quegli anni scaldava i cuori dei romanisti.
Giovane ma enciclopedico, vanta studi musicali (sassofono alla scuola di Testaccio, un paio di anni al conservatorio di Latina, poi allievo di Mario Raja) e subito dopo le prime vere esperienze. Collaborazioni con lo stesso Raja, l’orchestra giovanile romana diretta da Bruno Tommaso, l’orchestra dell’Ismez diretta da Paolo Damiani. E poi le sperimentazioni più trasgressive: avventure nelle musiche africane, e nel gruppo technopop I.H.C., con il quale incide un disco, e nella sua costola nu jazz Jazz Guerrilla.
«In realtà ultimamente ci siamo fusi, formando una nuova versione di I.H.C., formazione estesa, con Giovanni Di Cosimo alla tromba, Pino e Paolo Pecorelli, Luca Venitucci alle tastiere e alla fisarmonica e altri. Ciò che mi coinvolge molto è proprio riuscire a imporre la mia voce, sempre e comunque inquadrabile nel jazz, in contesti differenti, magari come questo di matrice improvvisata ed elettronica».
Inoltre, Tittarelli è leader di un quartetto stabile con Pietro Lussu al pianoforte, Vincenzo Florio al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria, che ha inciso in studio «Jungle Trane» (Wide, 2002). «Per le note di copertina andai da Roberto Gatto una sera a Villa Celimontana; gli chiesi di ascoltare il disco e lui rimase colpito. Dopo un anno mi chiamò a suonare». Ed è lì che Daniele riesce a mettersi in evidenza. Poi arriva la conferma da parte di Maurizio Giammarco per partecipare alla Parco della Musica Jazz Orchestra, perché Daniele era già nel Roma Jazz Ensemble di Corvini e Iodice che è lo zoccolo duro della Pmjo. La consacrazione è battezzata anche da Enrico Rava che lo vuole nel suo gruppo di giovani, Rava Special Edition, al fianco di Mauro Ottolini, Giovanni Guidi, Dan Kinzelman, Stefano Senni.
Daniele è intervenuto anche in «Dances» della M.J. Urkestra di Roberto Spadoni, «Suspended» di Pino Iodice, «Logorhythms» di John Arnold, «Don’t Stop Your Mind» di Gianluca Renzi; vanta esperienze nei Six Sax e nel Di Gennaro Quartet. Il suo secondo disco, «No Hay Banda», pubblicato nel 2009, è realizzato con i medesimi musicisti del precedente. Si esibisce in diverse altre formazioni e ne dirige una molto, molto curiosa: un quartetto con un altro sassofono contralto, quello di Carlo Conti, su repertorio di Ornette Coleman. Decisamente consigliabile.

(foto di Roberto Cifarelli)

Federico Scoppio
fonte http://www.musicajazz.it/columns/103
Ultima modifica ilLunedì, 08 Febbraio 2016 17:17

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